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Vintage GP: ep. 10

Vintage GP: ep. 10
Vintage GP: ep. 10
Vintage GP: ep. 10 Land Rover Defender

Vintage GP: ep. 10 – Land Rover Defender

Vintage GP: ep. 10. Inarrestabile, iconica e capace di arrampicarsi anche su muri. Oggi vi porteremo alla scoperta di un’avventura lunga ben 70 anni: questa è la storia del Land Rover Defender.

Vintage GP: ep. 10

LA NASCITA DEL LAND ROVER

La storia del Defender ebbe inizio nel dopoguerra, quando il governo britannico impose alla Rover Company (un produttore di auto di lusso) di costruire veicoli più economici per agevolare le esportazioni in quegli anni difficili.

La Rover decise di rispondere a questa richiesta creando un veicolo versatile e resistente, adatto sia all’agricoltura che all’uso militare.

La progettazione e la realizzazione del veicolo vennero affidate a Maurice Wilks, che, ispirato dalle Jeep Willys utilizzate dall’esercito americano durante la Seconda Guerra Mondiale, creò un prototipo di fuoristrada utilizzando la struttura della Willys come base.

Maurice Wilks

L’anno successivo, il 30 aprile 1948, il nuovo modello fu presentato al pubblico al Salone dell’Auto di Amsterdam, col nome “Land Rover Series I“: un fuoristrada che aveva tre punti di forza:

  • la trazione integrale, ideale per affrontare terreni accidentati
  • la carrozzeria in alluminio, che oltre ad essere meno esposta alla corrosione, non era soggetta alle restrizioni imposte dal governo britannico in quel periodo.
  • il telaio a longheroni, che abbinato alla carrozzeria in alluminio rendeva il mezzo leggero e resistente.
Land Rover series 1

IL SUCCESSO E LE PRIME EVOLUZIONI

Il Series I suscitò un grande successo tra il pubblico: negli anni ’50 e ’60 divenne molto popolare tra gli agricoltori, gli esploratori e le forze armate di tutto il mondo, e nel 1958 venne lanciata la versione aggiornata: la Land Rover Series II, che si contraddistingueva per una carrozzeria più grande e confortevole.

Land Rover series 2

Negli anni ’70, il numero di Land Rover prodotti raggiunse il traguardo di un milione di veicoli venduti sia a clienti privati che all’esercito.

Nel 1971, venne lanciata la terza generazione del veicolo, ovvero il Land Rover Series III, che presentava una serie di miglioramenti tecnici, tra cui un nuovo motore a benzina a sei cilindri.

DALLA SVOLTA AI GIORNI NOSTRI.

Tuttavia, il vero punto di svolta arrivò nel 1983, quando all’aggiornamento per la quarta generazione, Land Rover lanciò due nuovi modelli: 90 e 110, che erano dotati di una nuova carrozzeria e di un nuovo telaio a traliccio che li rendeva ancora più resistenti.

Inoltre, il motore a diesel fu ulteriormente sviluppato, migliorando le prestazioni e riducendo le emissioni.

Negli anni ’90, il fuoristrada prese il nome di “Defender” (in onore del suo largo utilizzo in campo militare) e continuò ad evolversi fino alla sua ultima evoluzione nel 2016, che venne poi prodotta fino al 2016, quando la Land Rover decise di interrompere la produzione del veicolo a causa delle nuove normative sulle emissioni.

La storia del Defender è una testimonianza della capacità di adattamento e innovazione della Rover Company, che ha saputo creare un veicolo che è diventato un’icona della cultura popolare e un simbolo di resistenza e affidabilità. Ancora oggi, il Defender è ambito e sfruttato, continuando ad affrontare le zone più estreme e impervie di tutto il mondo.

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Vintage GP: Volkswagen Maggiolino

Vintage GP: Volkswagen Maggiolino
Vintage GP: Volkswagen Maggiolino

Vintage GP: Volkswagen Maggiolino

È un’auto fuori dal tempo, nata come il sogno di un sanguinoso dittatore, per poi diventare simbolo di pace e amore in tutto il mondo. Questa è l’auto Vintage GP: Volkswagen Maggiolino (o Beetle)

Ha battuto centinaia di record in più di 60 anni di onorata carriera con oltre 21 mln di esemplari prodotti e ancora oggi è un’icona della cultura pop.

Oggi vi raccontiamo la storia di un mito che oggi tutti conosciamo come Maggiolino Volkswagen.

Vintage GP: Volkswagen Maggiolino

La motorizzazione della Germania

È il 1934, e in Germania il popolo non se la passava molto bene.

Quell’estate Adolf Hitler prese il potere dopo che il presidente Hindenburg morì a 87 anni, e tra le prime richieste che vennero ordinate ci fu quella di “motorizzare la Germania”.

Per dare vita al progetto, il governo tedesco assunse l’ingegnere di auto da corsa Ferdinand Porsche (lo stesso che fondò poi l’omonima casa automobilistica, che fondò la casa automobilistica Volkswagen (in italiano  “auto del popolo”).

Vintage GP: Volkswagen Maggiolino

Il compito che venne assegnato a Porsche era quello di realizzare un’automobile che la famiglia media poteva permettersi:

  • Piccole dimensioni ma allo stesso tempo di grandezza sufficiente da ospitare quattro persone comodamente;
  • Semplice da usare e mantenere ovunque;
  • Di una durevolezza sufficiente ad accompagnare la famiglia per molto tempo.

Il design finale della carrozzeria rifletteva la tendenza dell’epoca per veicoli eleganti e rotondi, con il motore boxer raffreddato ad aria montato nella parte posteriore.

Questa soluzione però portò problemi alla Volkswagen perché Porsche avrebbe preso ispirazione dalla Tatra V570 (o T97), un prototipo della casa automobilistica cecoslovacca Tatra, che di conseguenza avrebbe citato a giudizio la casa tedesca.

Questa causa venne presa con filosofia dal Führer, che fece quello che qualsiasi dittatore avrebbe fatto se qualcuno gli avesse fatto causa per la sua auto: invase la Cecoslovacchia e prese il controllo della fabbrica della Tatra.

La KdF-Wagen

Quando il “design totalmente originale” venne completato la Volkswagen diede il via alla produzione della vettura che venne assegnata a un progetto governativo chiamato “Forza attraverso la gioia” (in tedesco “Kraft durch Freude!”)

La nuova automobile prese il nome di KdF-Wagen e per la sua realizzazione venne costruita una nuova fabbrica vicino a Fallersleben, e attorno venne costruita una città, che oggi si chiama Wolfsburg e ospita ancora la Volkswagen.

La produzione iniziò nel 1938, ma venne interrotta dopo soli 210 unità prodotte, per la necessità di Hitler di focalizzare l’industria tedesca per lo sforzo militare, che come tutti sappiamo portò alla seconda guerra mondiale e fece uscire la Germania.

Quando la seconda guerra mondiale giunse al termine nel 1945 la Germania ne uscì ridotta in un cumulo di macerie.

La fabbrica non fu risparmiata e venne distrutta nei bombardamenti.

Successivamente le forze di occupazione Britanniche incaricate dell’area, trovando le parti originali della linea di produzione del KdF-Wagen e provarono a venderle alle case automobilistiche inglesi, non avendo però un esito positivo.

Nel 1946 la fabbrica fu ricostruita e la linea di produzione venne rimontata, e da quel momento la vettura non sarebbe più stata KdF-Wagen, ma Volkswagen Type 1.

Il Soprannome “Maggiolino”

Nel 1949 la fabbrica venne ceduta a Heinz Nordhoff, e con il risollevamento della Germania dalle ceneri la Volkswagen iniziò a vendere la Type 1 in tutta l’Europa occidentale, dove si guadagnò per la prima volta il soprannome di “Maggiolino” (Beetle).

Le vendite nell’Europa del dopoguerra procedevano a fatica, e in Volkswagen capirono che per vendere le loro auto avrebbero dovuto puntare a un mercato con una grande popolazione, molti soldi e in cui le strade non erano state fatte esplodere.

Così decisero di puntare all’America, dove però i primi sforzi furono fallimentari perché nessun concessionario statunitense voleva toccare la macchina perché il maggiolino era vista da tutti come la macchina dei nazisti.

Bisognerà aspettare il 1950 perché la VW riuscì a convincere alcuni concessionari ad accettare le loro auto, e contro ogni aspettativa il piccolo Maggiolino iniziò a vendere grazie a tre fattori:

1) il suo prezzo molto più economico e conveniente della maggior parte delle auto presenti sul mercato.

2) il fatto che fosse un mezzo robusto e affidabile anche su strade non asfaltate.

3) la manutenzione era relativamente semplice e poco costosa.

L’auto del popolo

Finalmente l’auto del popolo divenne la scelta del popolo, tanto che nel 1955, dopo solo otto anni dalla sua entrata nel mercato la VW aveva già venduto un milione di Maggiolini.

Nel 1972, inoltre il maggiolino diventò l’automobile più venduta di sempre.

Nonostante il numero altissimo di vendite nel 1974, in vista della necessità di una sostituzione più moderna venne lanciata la Golf.

Quest’ ultima nonostante la stessa compattezza, economicità ed affidabilità produceva quasi il doppio della potenza del Maggiolino.

La transizione da Maggiolino a Golf avvenne abbastanza rapidamente in tutto il mondo.

Le uniche a continuare a richiedere il maggiolino furono Messico e Brasile, tant’è che il maggiolino continuò la sua produzione in Messico fino al 2003.

In totale la Volkswagen ha venduto 21 milioni di Maggiolini in tutto il mondo, e venne riportato in vita nel 1998 con la New Beetle che venne prodotta fino al 2019.

Il Maggiolino è una macchina che ha segnato un’epoca, diventando uno status symbol grazie alle sue comparse cinematografiche, come La saga di Herbie e Transformers.

Transformers

Che si tratti di guidare su strade o sulle dune può essere trovato in quasi ogni parte del mondo, è stato un boom di vendite ed ancora oggi è un’icona della cultura pop.

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Vintage GP 08

Vintage Grand Prix – ep.8

Vintage GP 08: Ottima puntata della rubrica di Grand Prix dove vi mostriamo alcune delle nostre auto d’epoca.

Ferrari Mondial

Si sa, il nome Ferrari è autoesplicativo: un vero e proprio status symbol ambito da chiunque, e sicuramente tutti hanno o hanno avuto il desiderio di possederne una.

E se vi dicessimo che puoi trovare una di queste fantastiche vetture allo stesso prezzo di un’auto nuova?

Oggi vi raccontiamo quella che è forse la rossa più sottovalutata della storia del cavallino: questa è la Ferrari Mondial.

Il debutto al salone di Ginevra

Siamo nel 1979, e Ferrari trionfa nel campionato F1.

Per celebrare la vittoria la casa del cavallino decide di sostituire La Dino 308 GT4 (che non aveva avuto il successo sperato).

La nuova vettura debutta al Salone di Ginevra del 1980 come la prima “world car” prodotta dalla Ferrari , e venne chiamata Mondial in onore della vittoria in F1.

La vettura segue la filosofia della coupé 2+2 ad alte prestazioni con motore V8 centrale.

Pininfarina allunga il “passo” di 10 cm rispetto al vecchio modello ed ottiene così maggior spazio per i sedili posteriori.

La vettura vantava diverse skills, come gli accurati trattamenti anticorrosione, la grande cura nei dettagli e nell’ergonomia degli interni, una meccanica d’alta classe rispettosa delle norme anti inquinamento.

Gli interni

L’abitacolo elegante e ben rifinito presentava una nuova strumentazione con pulsanti.

La dotazione di serie comprendeva il tettuccio apribile elettricamente, la chiusura centralizzata, l’apertura elettrica dei 3 cofani, il computer di bordo, la regolazione elettrica degli specchietti retrovisori.

Il corredo interno era completato da 4 sedili singoli rivestiti in cuoio Connolly, mentre il sistema di accensione “Digiplex “ era di tipo elettronico, realizzato da Magneti Marelli.

Il motore

Il motore era un V8 di 2926 cm³ da 214 cv, derivato da quello della Ferrari 308 GTB abbinato all’iniezione Bosch K-Jetronic che garantiva una velocità massima di 220 km/h.

Per il mercato svizzero e statunitense la Ferrari Mondial era dotata di serie del catalizzatore, che unitamente a un rapporto di compressione più blando risultava meno potente e performante.

Le vetture destinate al mercato americano, sempre per rispettare le norme di omologazione locali, erano equipaggiate con i tipici paraurti sporgenti e le luci di ingombro laterali.

Le sospensioni riprendono lo schema della 308, con quadrilateri deformabili e molle elicoidali.


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Vintage GP 07

Vintage GP 07

Vintage Grand Prix – ep.7

Vintage GP 07: Settima puntata della rubrica di Grand Prix dove vi mostriamo alcune delle nostre auto d’epoca.

Alfa Romeo Montreal

Correva l’anno 1967, e a Montreal, in Canada, si teneva l’esposizione universale (EXPO), e tutte le nazioni del mondo parteciparono presentando le migliori realizzazioni nei vari campi della scienza e della tecnica.

Gli organizzatori avevano scelto l’Alfa Romeo per creare un modello di autovettura che potesse rappresentare la “massima aspirazione raggiungibile dall’uomo in fatto di automobili”, ma a seguito di un’organizzazione frettolosa, l’invito arrivò ad Arese solo nove mesi prima dell’evento.

Il design originale della Montreal

A causa dei tempi così ristretti, mancavano i presupposti per sviluppare un pianale e una meccanica nuovi, quindi per il modello carrozzato da Bertone, su disegno di Marcello Gandini, i vertici del Biscione decisero di utilizzare il motore della Giulia 1.6 TI berlina e portarono in Canada due esemplari di concept in colorazione bianco perla.

I due concept ebbero successo immediato grazie al design originale e a una linea slanciata e sportiva.

La vettura è caratterizzata dalla calandra bassa e dal cofano profondo che scende fino a coprire metà dei fari, dove risaltano le palpebre “a veneziana”, una soluzione innovativa che migliora l’aerodinamica e nasconde parzialmente i proiettori anteriori.

Il parabrezza è inclinato, due lunghe porte a “L” precedono le sei feritoie presenti sui montanti laterali; quindi il portellone, molto inclinato e totalmente in vetro, infine la coda tronca con un accenno di spoiler e i doppi scarichi al centro.

L’ottimo riscontro del pubblico convince i piani alti di Alfa Romeo a mettere il modello in produzione: si decide di puntare sull’immagine sportiva del marchio, sostituendo il 1.6 con il V8 della Tipo 33 da competizione, ma a causa dei volumi della carrozzeria la nuova meccanica risultava molto più ingombrante del quattro cilindri della Giulia, e in Bertone non era per nulla intenzionati a snaturare il progetto originale.

Il debutto

Dopo 35 mesi e mezzo dalla sua prima apparizione, la Montreal debutta in pedana al Salone di Ginevra del 1970 scardinando tutte le regole con forme meno filanti, più alta e appesantita rispetto ai concept del 1967, definita “fuori dal tempo” ma sicuramente di grande impatto.

Il nuovo V8 della Montreal è il primo della casa del Biscione ad essere prodotto in serie regolare: derivato dal 2.593 cc della mitica 33 Stradale viene rivisto, con nuove teste e depotenziato da 270 a 200 cv, per renderla più adatta alla guida di tutti i giorni.

Le prestazioni, nonostante gli ingombri, sono di tutto rispetto con una coppia generosa di circa 240 Nm, 224 km/h di velocità massima e una accelerazione da 0 a 100 km/h in circa 8 secondi.

Gli interni invece sono puliti ed essenziali, e la fanaleria anteriore è schermata da due griglie, messe a protezione delle due coppie di fari.

La nuova la presa d’aria al centro del cofano e le feritoie sul montante posteriore hanno una funzione puramente estetica, e i caratteristici cerchi “millerighe” in lega leggera ebbero talmente tanto successo da diventare molto richiesti anche su altri modelli.

Nonostante le dimensioni (la lunghezza era di 4.22 metri con un passo di 2.35) la vettura non era limitata a sportiva “due posti secchi”, ma prevedeva invece il layout 2+2, con due sedili posteriori non molto comodi o sfruttabili, e un bagagliaio invece abbastanza capiente con lunotto apribile.


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Vintage GP 06

Vintage Grand Prix – ep.6

Vintage GP 06: Sesta puntata della rubrica di Grand Prix dove vi mostriamo alcune delle nostre auto d’epoca.

Porsche 911 SC.

Ci sono macchine definibili “da uomini”, e ci sono macchine più “femminili” come la Porsche.

Alcune auto sono un’estensione della personalità e completano il carattere di chi la guida; altre invece sono delle vere e proprie compagne di vita, ed è per questo che l’uomo va fuori di testa da sempre per una 911.

Se poi la Porsche in questione è decappottabile, manuale e ha un sei cilindri raffreddato ad aria, resisterle diventa veramente complicato.


Oggi vi raccontiamo una vera icona nel mondo delle auto: questa è la Porsche 911 sc.

L’auto che prese il posto della 911 e Carrera


La versione SC della 911 venne lanciata nel 1977 in configurazione Coupè e Targa, con l’intento di sostituire tutte le altre versioni “non turbo” (standard, S e Carrera).

La sigla SC, che sta per SuperCarrera, è autoesplicativa: il suo sei cilindri boxer raffreddato ad aria aveva una cilindrata di 2994 cm³ e una potenza di 188 CV che permettevano alla SC uno 0–100 km/h 6,3 secondi e 223 km/h di velocità massima; ma nel 1981 la potenza venne incrementata a 204 CV, portando lo 0–100 km/h a 5,9 secondi e 240 km/h di velocità massima.

Questo modello nacque a seguito dell’inasprirsi delle normative antinquinamento soprattutto in America, dove stavano mettendo al bando i veicoli più inquinanti. A farne le spese ovviamente furono le prestazioni delle vetture che dovevano avere dispositivi per la depurazione dei gas di scarico.

La decappottabile più veloce del mondo


Nel 1983 le versioni coupé e targa vennero affiancate dalla 3.0 SC Cabriolet, la prima 911 con tetto in tela ad apertura totale, che grazie all’upgrade prestazionale dei due anni precedenti divenne la decappottabile più veloce al mondo.

Rispetto alla 911 Carrera, la 911 SC presentava una scocca più larga.
Al suo interno possiamo trovare un abitacolo molto minimalista, e presenta delle soluzioni rivoluzionarie per l’epoca come l’aria condizionata e i comandi dei sedili e dei finestrini completamente elettrici.

Porsche 911 SC RS

La Porsche cabrio durò ben poco perchè già nel 1984 la gamma venne nuovamente rinnovata introducendo la Carrera 3.2. Accanto alla versione stradale, Porsche realizza anche due modelli da competizione: uno per il Gruppo 4 e uno per il Gruppo B.

La Porsche 911 SC RS, di cui ne sono stati realizzati solo 20 esemplari, pesava duecento chilogrammi in meno della versione da strada.

Grazie ad un motore con 255 CV aumentando così la sua potenza, la Casa si portò a casa due importanti terzi posti: uno al rally di Monte Carlo nel 1982, e al Tour de Corse tre anni più tardi.


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Vintage GP 05

Vintage Grand Prix – ep.5

Vintage GP 05: Quinta puntata della rubrica di Grand Prix dove vi mostriamo alcune delle nostre auto d’epoca.

Lancia Delta Integrale

Sono poche le macchine che ti fanno innamorare ancora prima di accendere il motore, ancora meno sono quelle con un’anima.

Oggi vi raccontiamo un mito tutto italiano: versatevi un Martini e mettetevi comodi.

La nascita di una nuova macchina da Rally

Era il 1986 quando a causa di un evento luttuoso il mitico gruppo B cessò di esistere, e il reparto corse di Lancia dopo numerosi successi e vittorie con le incredibili 037 e Delta S4 si lanciò nello sviluppo di una nuova vettura da rally secondo il nuovo regolamento, che dalla stagione 1987 avrebbe visto in gara soltanto le auto di Gruppo A e N.

La casa italiana non ebbe grandi problemi a sviluppare una vettura adeguata alle nuove categorie, e presentò lo stesso anno al salone di Francoforte la Delta HF 4WD, che primeggiò nella sua categoria anche a fronte della scarsa concorrenza causata dal cambio di categoria.

Lancia ebbe pochi problemi anche nei cinque anni successivi, portando 11 titoli al marchio torinese che vinse anche 4 mondiali piloti, equamente divisi a metà tra il finlandese Juha Kankkunen, iridato nel 1987 e nel 1991, e l’italiano Miki Biasion, campione nel biennio 1988-1989.

l’italiano Miki Biasion, campione nel biennio 1988-1989

La Delta “HF” Integrale

Il 18 dicembre 1991 Lancia annunciò il suo ritiro in forma ufficiale dai rally, cedendo nel 1992 la gestione del suo team alla Martini Racing (che fino ad allora era solo sponsor), con l’appoggio della struttura tecnica del Jolly Club.

Lo stesso anno avvenne la presentazione dell’ultimo step evolutivo della Delta: la HF Integrale “Evoluzione”.

Il nuovo team, che continuava a portare in gara le vetture torinesi diventò quindi una vera e propria squadra che, ricevendo in dote dalla casa madre vetture e piloti, e il supporto di Abarth per lo sviluppo, prese parte in maniera semiufficiale al mondiale.

La Delta Integrale Evoluzione (con le sue versioni 8v e 16v) dominerà le scene del Campionato Mondiale Rally riprendendo, senza interruzione, la striscia di successi iniziata nel 1987 dalla Delta HF 4WD.

Ai titoli mondiali piloti e costruttori vinti nel 1987 vanno ad aggiungersi altri 5 Campionati del Mondo Rally Costruttori consecutivi (dal 1988 al 1992) e 3 Campionati del Mondo Rally Piloti.

Tra i vincitori spiccano i due allori di Miki Biasion, primo italiano, e al momento unico, capace di vincere l’ambito titolo mondiale riservato ai conduttori.

In 6 stagioni nel Campionato del Mondo Rally la Lancia totalizza 46 vittorie: il bottino raccolto dalla sola Delta HF Integrale nelle sue varie evoluzioni conta ben 35 vittorie e 96 podi.

Lancia Delta integrale “martini” al Rallylegend 2021 di San Marino

Inutile dire che tutte queste vittorie hanno reso la Delta una vera e propria leggenda su ruote, e le versioni stradali sono ancora oggidesiderio di appassionati di tutte le età che la osannano come “la regina”.

La più ambita tra tutte è la Delta HF Integrale Evoluzione, che con il suo motore 2.0 litri 1995 cc quattro cilindri 16 valvole eroga 210 Cv, dieci in più della versione standard (215 Cv nella versione Evo2 che prevede sedili Recaro, il servosterzo, il climatizzatore e l’ABS di serie).

Le più iconiche delle Evoluzione sono senza dubbio la Delta Martini 5, costruita per onorare il quinto titolo mondiale in 400 esemplari e la Delta Martini 6, questa volta prodotta in soli 310 esemplari per rendere omaggio al sesto e ultimo titolo.


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Vintage GP 04

Vintage Grand Prix – ep.4

Vintage GP 04: Quarta puntata della rubrica di Grand Prix dove vi mostriamo alcune delle nostre auto d’epoca.

Jeep Willys

La madre di tutti i fuoristrada

Protagonista su ogni campo della Seconda guerra mondiale, la Willys MB, meglio nota come Jeep Willys, fu il mezzo più prodotto durante il conflitto mondiale. Considerata come la madre di tutti i fuoristrada, diede il via all’epopea Jeep.

Realizzata in più di 640 mila unità, la Jeep Willys è il mezzo più prodotto della Seconda guerra mondiale. A fare la differenza, nel difficile contesto bellico di metà novecento, fu la semplicità e la praticità del prodotto, dall’apparenza esile, non corazzato e neanche armato.

Nacque, così, un mito senza tempo, ancora oggi considerato il padre dei fuoristrada moderni o, se si preferisce, dei Suv.

La Jeep Willys durante la Seconda Guerra Mondiale

La commissione da parte dell’esercito americano

Il mezzo, dal peso inferiore ai 600 kg, venne commissionato inizialmente in 1.500 unità.

Il progetto iniziale, sebbene rispettasse le richieste dell’esercito statunitense, fu da subito rivisto e aggiornato anche dai competitor della Bantam, Ford e Willys-Overland su tutti, migliorandone l’efficienza e la praticità.

Il prototipo prodotto dalla casa di John Willys, dopo accurate valutazioni da parte dell’esercito, fu considerato il mezzo più idoneo e completo. Nacque in questo modo la Willys MB (erede del prototipo MA) la cui produzione, in seguito allo scoppio della guerra, fu allargato anche agli stabilimenti Ford.

La casa di Detroit iniziò a produrre il veicolo dalla fine del 1941, modificando la sigla identificativa in Gpw.

2 prototipi della willys: jeep e stationcar

L’antenata della Jeep montava il Willys Mod 442, un motore 4 cilindri con testata a “L” da 2.200 cc in grado di sviluppare una potenza di 54 Cv. La coppia massima era di 123 Nm a 2.000 giri/min.

Era dotata di trazione prevalentemente posteriore con l’anteriore inseribile, abbinata ad un cambio a tre marce con riduttore.

L’abitacolo non aveva spazio per fronzoli e comodità, sacrificate in virtù di essenzialità e, soprattutto, flessibilità di utilizzo.

Il veicolo, infatti, venne più volte adattato alle esigenze del conflitto. Tra gli adattamenti più singolari, si ricordano i fari mobili, utili per illuminare il motore in caso di guasto notturno, i supporti per mitragliatrici e lanciarazzi e la predisposizione per l’utilizzo su rotaie.

Oggi la Jeep Willys, rappresenta un modello cult per collezionisti, grazie anche ad un florido mercato di pezzi di ricambio, nonché una pietra miliare per il mondo dei fuoristrada, che deve i natali proprio al piccolo, grande 4×4 made in Usa.


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Vintage GP 03

Vintage Grand Prix – ep.3

Vintage GP 03: Terza puntata della rubrica di Grand Prix dove vi mostriamo alcune delle nostre auto d’epoca.

Porsche 911 S 2.2 Targa (1970)

Un nuovo concetto di auto OPEN AIR

Era il 1965 e durante l’IAA di Francoforte, Porsche presentò per la prima volta un concetto completamente nuovo di auto cabrio e coupé, il suo nome era Porsche 911 Targa.

La 911 targa non era una cabrio con tetto in tela né una classica coupé,  si trattava della prima ‘cabrio di sicurezza’ al mondo, dotata di fascia di protezione fissa, o roll bar e un tetto rimovibile.

Si poteva quindi viaggiare a tetto completamente scoperto, o si poteva rimuovere soltanto la parte centrale del tetto, mantenendo il lunotto posteriore.

A proposito di quest’ultimo, poteva essere sostituito da quello in vetro con sbrinamento, opzione che divenne di serie dopo poco e rimase una delle peculiarità delle Porsche 911 Targa prodotte fino al 1993.

La prima Porsche 911 Targa

IL NOME IN RICORDO DELLA TARGA FLORIO

Al momento di scegliere il nome della nuova auto, ci si concentrò sui circuiti automobilistici più vincenti per la casa di Stoccarda, e da qui si arrivò immediatamente alla Targa Florio.

Visti i grandi risultati ottenuti sin dalla metà degli anni Cinquanta da Porche sul circuito delle Madonie, inizialmente il primo nome sembrava essere “911 Florio”, finché Harald Wagner, responsabile delle vendite sul mercato nazionale, non accelerò la decisione ponendo una domanda: “Perché non la chiamiamo semplicemente Targa?”.

La 911 Targa della serie G

Successivamente, la variante Targa ha seguito tutta l’evoluzione della Porsche 911, a partire dal modello G del 1973 proposto anche con il rollbar di colore nero.

Nel 1988 debuttò il modello 964, con la variante Targa commercializzata prima nella versione Carrera 4 a trazione integrale e, l’anno seguente, anche nella declinazione Carrera 2 a trazione posteriore. 

Gli esemplari di Targa costruiti nell’ambito delle prime tre generazioni della 911 sono complessivamente 87.663.


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Vintage GP 02

Vintage Grand Prix – ep.2

Vintage GP 02: Seconda puntata della rubrica di Grand Prix dove vi mostriamo alcune delle nostre auto d’epoca.

Ferrari 612 Scaglietti

La Ferrari 612 Scaglietti è il risultato di un progetto d’avanguardia che prosegue la tradizione Ferrari nel settore delle 2+2.

Il modello, disegnato da Pininfarina, porta il nome di Sergio Scaglietti, carrozziere modenese che realizzò negli anni ’50 e ’60 alcune fra le più belle Ferrari.

DESIGN

La 612 Scaglietti pur essendo una vettura all’avanguardia, eredita dalle sue antenate uno stile raffinato e di classe e ha sviluppato un carattere sportivo ma che la rende adatta anche ai lunghi viaggi.

Equilibrio tra dinamicità e comfort è la Scaglietti, fuori una coupé, motore anteriore e trazione posteriore, dentro un abitacolo che offre ampio spazio per 4 persone.

Il telaio, la scocca e la carrozzeria sono in alluminio per garantire leggerezza. Alla perfezione della struttura esterna, si aggiunge un motore potente e dinamico: V12, 48 valvole, 540 CV a 7250 giri, velocità massima 320 km/h, accelerazione da 0 a 100 km/h in 4 sec.

Il design dell’abitacolo, ha reso possibile l’inserimento di quattro poltrone in un ambiente spazioso ed elegante. Entrare e uscire da una 612 Scaglietti è comodo per chiunque.

Una condizione che deriva dal particolare incernieramento delle porte, che si spostano all’esterno durante la rotazione e dal dispositivo a comando elettrico ‘easy entry-exit’.

Le linee ancora attuali rendono questo modello un ottimo compromesso tra sportività ed eleganza.

La quotazione è davvero invitante per questo V12 che nel tempo riuscirà a mantenere e ad aumentare il suo valore.

Il prezzo di vendita, partiva da oltre 272 000 euro e non era particolarmente accessibile, come del resto anche quello delle altre vetture del marchio.

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Vintage GP 01

Vintage Grand Prix – ep.1

Vintage GP 01: la nuova rubrica di Grand Prix dove vi mostriamo alcune delle nostre auto d’epoca.

𝐋𝐚𝐦𝐛𝐨𝐫𝐠𝐡𝐢𝐧𝐢 𝐔𝐫𝐫𝐚𝐜𝐨

Model📸: @giuliaa_cast

Erano i primi anni ’70 e la “casa del toro” decise di sviluppare un concetto nuovo di coupé sportiva, a 4 posti e con motore centrale.

La vettura fu presentata in anteprima al salone di Torino del 1970 ma i primi esemplari poterono essere consegnati solo un paio di anni dopo.

Inimitabile fuoriclasse del suo tempo, Lamborghini Urraco era talmente proiettata verso il futuro al punto da suscitare oggi lo stesso brivido adrenalinico di allora, quando uscì per la prima volta dalle linee di produzione.

Lamborghini Urraco: che tipo di auto era?

La Urraco era una veloce berlinetta, 2+2, motore V8 posteriore centrale da 2,5 litri e sospensioni indipendenti, con sistema McPherson sulle quattro ruote, una combinazione di soluzioni adottate per la prima volta in ambito automotive.

Il modello originale P250 regalava un’esperienza di guida indimenticabile con 220 CV, 7800 giri/min e una velocità massima di 245 km/h inoltre la Urraco si caratterizzava per spazi interni innovativi per la conformazione della plancia, la posizione degli strumenti e per il volante a calice.

La versione successiva P300 (2.996 cc per 265 CV) fu presentata nel 1974 e prodotta dal 1975 al 1979.

Dal concetto sperimentato e portato con successo sul mercato dall’Urraco, nascono i successivi modelli 8 cilindri ed i più recenti a 10 cilindri, come la Gallardo e l’attuale Huracán.

Lamborghini Urraco: Oggi

Per anni la Urraco è rimasta seppellita tra le sabbie del tempo, considerata solo un oggetto vecchio, raggiungendo quotazioni vergognosamente basse per una Lamborghini, ma oggi, tra aste e concorsi d’eleganza, si prende la sua rivincita.

Un esemplare, degli appena 791 costruiti, vale tra 68.000 e quasi 90.000 euro, a seconda del motore!

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